“Non temere perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni” (Is 43,1)
Questa è una delle Parole che mi viene in mente pensando alla mia esperienza vocazionale. Scrivo consapevole di non poter raccontare il mistero di una vocazione in poche righe né tanto meno di farlo comprendere. Semplicemente mi fermo e ringrazio per aver ricevuto così tanto. Un riscatto di salvezza, una chiamata per nome di cui mi sento pienamente incapace. Il Signore ha guidato tutti i miei passi fin qui: a volte prendendomi per mano, a volte sbattendomi la testa al muro, in modo assordante o nel silenzio mi ha accompagnato sempre senza che io me ne accorgessi. O forse lo sapevo, ma avevo paura di ascoltarlo.
Nato in Argentina e cresciuto a Como, ho ricevuto il grande dono di una possibilità di vita che è passata attraverso esperienze indimenticabili. Gli anni delle elementari, quelli di un’infanzia felice e spensierata con i miei amici e con la mia famiglia. Gli anni delle medie, quelli della scoperta di me stesso, delle domande e i dubbi che iniziano a discutere sul mio stare al mondo, ma anche quelli dei sogni e i desideri proiettati in un mondo ideale dove tutto è possibile. Gli anni delle scuole superiori, quelli delle sfide toste, dove scopro che forse ciò che sognavo è più piccolo della realtà che vedo e il dolore piano piano inizia a dirmi che anche lui esiste e devo farne i conti. Gli anni della maturità in cui decido di rimettere ordine al puzzle che stavo costruendo, attraverso un percorso di consapevolezza di me stesso e di tutto ciò che provo. In cui decido anche di fare esperienze altrove per ascoltare di più, per ascoltare meglio.
Ed è proprio ascoltando che mi sono accorto di aver ricevuto un dono. Ma forse chissà, anche prima. Forse l’ho ricevuto da sempre. Ciò che sento oggi non è il sapore di una certezza, ma di un’intuizione che mi parla e non mi lascia in pace, portandomi qui. È la chiamata di donare la vita a un Dio che non vedo con gli occhi o non tocco con le mani, ma su cui scommetto tutto quello che ho. È il frutto di un incontro. Manifestandosi in un momento di preghiera ed evangelizzazione, come fossi stato svegliato da un sonno profondo, in un nitido istante ho avvertito che il Signore mi stava chiedendo di essere Suo per essere felice. E poi col tempo mi sono accorto che quel desiderio era sempre stato presente in me, ma avevo paura di ascoltarlo, non volevo accettarlo o ammetterlo.
Eppure ne assaggiavo il sapore ogni volta che frequentavo la mia parrocchia: ogni volta che durante il Grest in oratorio sentivo la bellezza del prendersi cura degli altri e nei piccoli vedevo il volto di un amore gratuito per me; ogni volta che a catechismo avevo la fortuna di ascoltare le vite dei ragazzi con i loro tormenti e i loro grandi sogni, insegnandomi a soffrire per l’incertezza del loro futuro, a interrogarmi sulla mia fede, a fallire ripetutamente; oppure ogni volta che a scuola avevo il desiderio di raccontare ai miei compagni che nessun senso di colpa è troppo grande per la vita e c’è sempre la possibilità di ricominciare; ogni volta che tornando a casa mi accorgevo che desideravo qualcosa di più grande e non mi bastava quello che avevo, che non mi bastava studiare il cinema, che non mi bastavano le mie passioni, che non mi bastava quella realtà, che non mi bastava la vita fin lì. E ora sono qui, grato per aver vissuto esperienze straordinarie.
Il Signore mi ha accompagnato, rimanendomi vicino in ogni passo con enorme e immeritata fedeltà, e dopo avermi condotto lontano per un tempo di formazione, oggi mi ha fatto tornare là dove tutto è cominciato. E due cose sono quelle che rimangono impresse nel mio cuore: la pazienza e la misericordia. Posso davvero dire che il Signore ha avuto tanta pazienza con me, rispettando le mie resistenze, la mia paura di essere inadeguato, le mie fughe per non rispondergli e tutte le volte in cui l’ho messo alla prova per capire se esisteva o no l’amore che sentivo predicare. E poi ha avuto misericordia, senza limiti, quella che mi fa ricordare che non dovrei essere qui eppure lo sono, che mi costringe a guardarmi senza maschere e nascondimenti, quella che mi permette di essere qui, a scrivere e a raccontarla.
Auguro a tutti la gioia di un incontro. Ed essere felici nel viverlo.
David Martìnez