Tutto in regola

Aspetti di vita interna del Seminario di S. Caterina, alla fine del Settecento.

Anche del S. Caterina – il Seminario fondato nel 1740 dal vescovo Cernuschi in Borgovico – non ci basta avere detto della sua fondazione e del suo primo avvio. Vogliamo entrare dentro e scoprire qualcosa, se possibile, della sua vita quotidiana.

Possiamo farlo attraverso la lettura di due regolamenti, il primo fatto predisporre dallo stesso fondatore di questo Seminario, il vescovo Cernuschi, che appose la propria firma in calce alle diverse sezioni delle regole, il secondo pubblicato in forma di circolare a stampa dal vescovo Neuroni, succeduto sulla cattedra vescovile nel 1746.

L’anno seminaristico iniziava soltanto in novembre: per S. Martino era previsto l’ingresso dei seminaristi “minori”, o delle “scuole basse”, mentre i teologi rientravano il successivo 25, memoria liturgica di S. Caterina d’ Alessandria: una data rimasta a lungo particolarmente importante, destinata com’era, fino a pochi decenni fa, a dare il via all’accensione delle stufe, qualunque fosse stata la temperatura dei giorni precedenti.

La permanenza in Seminario si protraeva fin quasi alla fine di luglio, quando un’altra santa – certo più cara ai chierici – Anna, segnava l’inizio delle sospirate vacanze. Il Seminario, però, non chiudeva: si doveva, anzi, dare “addito a tutti quelli che vorranno – raccomandava il vescovo Cernuschi – di restare nel Seminario, oppure entrarvi nuovamente secondo le loro urgenze“; quanto ai superiori, che “fra loro se l’intenderanno” per eventuali turni, avrebbero fatto in modo che uno di loro fosse sempre presente.

Ad intervallare il lungo anno scolastico, oltre alle ricorrenze religiose, si inserivano – prima di Natale, a Carnevale, verso Pasqua e dopo Pentecoste – le “ripetizioni generali”, ovvero gli esami, ai quali i superiori erano tenuti ad invitare – con quale gioia degli studenti non è detto – se non il vescovo, perlomeno Mons. Vicario Generale o, in sua assenza, qualche “altra persona graduata e distinta“.

Per quel che riguarda l’organizzazione della giornata, non c’è da segnalare particolari innovazioni rispetto all’orario già in uso, cento anni prima, presso il Collegio Gallio e di cui già si è detto, così come rispetto a quello di molti istituti educativi del tempo: un alternarsi calibrato di pratiche di pietà e di studio, ogni tanto interrotto da qualche “tempo di respiro, con fuoco d’inverno“. Non erano, evidentemente, riscaldati i locali, ma esisteva soltanto uno “scaldatoio” dove ci si rifugiava di tanto in tanto a ricuperare un po’ di calore. Quanto al resto del tempo, ci si difendeva con il mantello e con il “giustacuore” allacciato con una cinta sotto la veste “soprana” dalle maniche larghe.

Alla domenica, come avveniva in ogni parrocchia e comunità secondo le disposizioni tridentine, si dava spazio, al pomeriggio, ai vespri e alla dottrina cristiana, ma si concedeva ai chierici anche un po’ di passeggio, “a due a due in buon ordine“.

È in questi regolamenti, abbastanza accurati e precisi, del S. Caterina, che troviamo, per la prima volta, descritti, ad un certo punto, anche i compiti dei superiori. Quelli fissi in seminario e direttamente responsabili della formazione dei chierici erano tre: il rettore, il vicerettore, il “ripetitore”.

Il rettore appare come la figura dominante del Seminario: a lui, infatti, è attribuita “l’incombenza generale sopra tutti e sopra tutte le cose del Seminario, per lo che dovrà avere il dupplicato di tutte le chiavi“. Egli passa, pertanto, dalle mansioni più delicate, quale la preparazione immediata dei candidati agli ordini, alle più spicce, come il controllo “della dispensa del formaggio, e butiro [burro]”. Il rettore funge anche da istanza suprema per eventuali reclami dei chierici contro gli altri superiori: solo gli si ricorda la saggia regola “di non dare ascolto alli reclami che verranno fatti dalli seminaristi contro le disposizioni del Sig. Vice Rettore, e Sig. Ripetitore, se prima non sentirà li medesimi superiori“.

Al suo fianco il vicerettore, il quale a sua volta aveva pure mansioni molto concrete, come quella di “ricevere il pane“, facendolo “anche pesare, qualche volta. Così pure farà pesare in sua presenza la carne e gli altri commestibili“. Non si sa mai. Il vicerettore deteneva anche una sorta di sovrintendenza generale sul guardaroba e sulla dispensa e aveva la responsabilità del personale: “correggerà li serventi, casocchè non usino il dovuto rispetto a signori Superiori o a signori chierici“. Infine – come sarà, anche in seguito, tradizionale – al vicerettore sono lasciate le parti un po’ forti e antipatiche: “castigherà li piccoli in dormitorio, se farà bisogno collo scudiscio“.

Ed ecco il terzo superiore “di disciplina”: il “ripetitore”. Anche in questo caso, le competenze sono molteplici. Come non si distingueva ancora (ciò invece avverrà in seguito) tra un responsabile “amministrativo” del Seminario (l’economo) e uno educativo (il rettore), così sono fuse insieme – nella figura del ripetitore, ma anche, in parte, in quella del rettore e del suo vice – altre due competenze in seguito venute a distinguersi: quella educativa e quella scolastica.

Compito principale del ripetitore era quello di assistere i chierici nello studio al di fuori della scuola, guidandoli nella compilazione dei compiti scritti e nella preparazione, appunto, delle “ripetizioni”. Tuttavia, egli fungeva anche da direttore del riscaldamento e delle pulizie: “assegnerà la legna per scaldarsi [,…] invigilerà che a tempo debito si scopino le scuole, li coridori, li luoghi privati, lo scaldatoio, il refettorio, e le stanze di ciascheduno, e che si levino – si noti! – le tele d’ aragno“.

Non mancava, infine, una partecipazione degli stessi chierici alla organizzazione e alla conduzione del Seminario, con diversi incarichi, tra loro distribuiti a turno, tra cui quelli tradizionali di sagrestano, infermiere, capocoro, assistente alla camerata.

La scuola di teologia, oltre alle materie fondamentali, la dogmatica e la morale, cominciava ad allargare un po’ gli orizzonti, con l’aggiunta, voluta dal vescovo Neuroni, del Diritto Canonico e della Sacra Eloquenza, “per insegnare […] il modo di esporre, e con discorsi famigliari, e con sermoni, e nelle prediche la Divina Parola“. Scorrendo l’elenco di un centinaio di libri posseduti a quel tempo dalla biblioteca, troviamo ulteriori sconfinamenti: non solo alle vite dei santi, ma anche a trattati “sulle ulcere e sulle ferite del capo“, nonché sulle “pazzie del cervello“; qualcuno, altresì, si dilettava perfino di “alchimia“.

Così scorreva, lenta e sommessa, come il vicino Cosia, la vita del Seminario in quel finire di Settecento. Solo ogni tanto qualche contraccolpo.

Come la triste fine del chierico Vaninetti, oriundo di Sacco in Valgerola: “Entrò in Seminario l’anno passato – racconta con tono distaccato un verbale del 1773 – ma perchè di costituto gracile ed infirmuccio, non potè ultimare l’anno scolastico e, sorpreso da male, dovette rimpatriare prima del tempo. Riavutosi in qualche maniera, all’aprirsi del Seminario ritornò nel poccanzi scaduto novembre. Ma, dopo breve soggiorno, sorpreso da nuovo male con attacco di petto, dovette soccombere dopo pochi giorni di malattia e cessò di vivere […]. Si fecero le esequie con l’intervento di tutti li chierici del Seminario, e fu sepolto nella Chiesa del Seminario medesimo“.

Oppure le solite sciocchezze che riescono tuttavia a turbare la vita di ogni ambiente un po’ chiuso, come il “disordine” sviluppatosi tra i chierici, di “rimandare al cuoco le vivande” non gradite. Si scomodò, per l’occasione, il cancelliere vescovile il quale, comparendo – grida alla mano – in mezzo al refettorio, pubblicò severamente, a nome di Sua Eccellenza, che simile vezzo a “nessun seminarista facciasi lecito in avvenire“, fatte salvo eventuali e documentate ragioni di salute.

Per questa volta l’ordine era ristabilito e la vita seminaristica, di nuovo incanalata nei suoi argini regolamentari, poteva tornare a scorrere, silenziosa e lenta.

mons. Saverio Xeres