Un Seminario per la Diocesi

Prima organizzazione del seminario di S. Caterina (1740-1747).

C’era voluto un po’ di tempo, come si è visto – quasi due secoli! – per dare attuazione ai decreti del Concilio di Trento con l’istituzione di un seminario diocesano in senso proprio e, tuttavia, una volta avviata questa attesa istituzione, con la fondazione, nel 1740,  del Seminario di S. Caterina, subito si era avuto un notevole riscontro, soprattutto in termini di iscrizioni. Scrivendo a Roma, pochi mesi dopo l’apertura del seminario, lo stesso vescovo fondatore, Paolo Cernuschi, ricordava di essere quasi stato portato dagli eventi a dare effettivo inizio all’attività seminaristica: “Resasi appena nota la sopraddetta erezione si sono presentati nel principio dell’anno scolastico tanti soggetti del detto vasto paese sottoposto agli eretici [cioè Valtellina e Valchiavenna] che hanno quasi riempiuto il Seminario, avendo dovuto uniformarmi alla Divina volontà con porre subbito in esecuzione il suddetto Seminario, benchè non mi trovassi nell’opportunità di soccombere alla provisione di molte gravi necessarie cose, che si dovevano nell’incominciamento“.

Insieme a tanti chierici – una cinquantina – all’inizio del S. Caterina troviamo, per nostra fortuna, anche tanti documenti che ci danno la possibilità di conoscere con ricchezza di dettagli la vita interna di questo che possiamo definire il primo seminario vescovile di Como. Sia il Cernuschi, infatti, di cui troviamo la firma sotto le varie sezioni di un regolamento ancora manoscritto, sia il vescovo succedutogli nel 1764, il cappuccino Agostino Maria Neuroni, il quale emanò un solenne proclama a stampa, posero mano all’organizzazione, sia disciplinare che scolastica, della vita di Seminario, procedendo lungo i due grandi binari tracciati da Trento per la formazione del clero: bontà di vita e dottrina. 

Innanzitutto, il Seminario raccoglieva sia studenti di “retorica” e di “umanità” , ossia intenti ancora alla formazione umanistica di base, quello che oggi sarebbe un liceo, sia “teologi e moralisti”, ossia gli studenti di teologia. È prevista una convivenza unica, anche se il regolamento appare diversificato a seconda delle diverse esigenze dei “teologi” e dei “piccoli”.

Ciò che subito colpisce è il generoso impiego di forze umane messe in atto dal vescovo per il suo seminario. Alla figura del rettore, “capace anche nello studio, acciò possa essere di maggiore profitto alli seminaristi“, si affiancano presto altre due figure di “superiori”: il vicerettore e il “ripetitore”, incaricato soprattutto di aiutare i chierici nello studio, oltre a una serie di professori nelle diverse discipline: almeno quattro di questi risiedevano stabilmente con i seminaristi “invigilando sulla loro condotta“. Abbiamo addirittura un elenco dei primi responsabili del nuovo seminario. Il rettore era don CARLO VASSALLI: già viceparroco nella parrocchia di Arzo, in Ticino (buona parte del quale appartenne fino alla metà del secolo scorso alla nostra Diocesi) era anche “lettore” di teologia morale; oltre alle mansioni direttive, provvedeva anche alla “regolare amministrazione del sagramento della Penitenza e della Parola di Dio” ai suoi chierici. Era affiancato da un vicerettore, anch’egli proveniente dal Ticino, don FRANCESCO DE’ BERNARDI, il quale, a sua volta, fungeva anche da direttore spirituale. Non erano, dunque, ancora distinte, come saranno in seguito, le funzioni disciplinari da quelle di guida spirituale: la formazione dei candidati alla “bontà di vita”, necessaria, accanto alla sufficiente dottrina, per essere dei buoni preti, veniva intesa in modo integrale, senza distinguere troppo il comportamento esterno (la disciplina) da quello “interno”, affidato alla direzione spirituale. Sarà solo durante l’Ottocento che apparirà utile specificare una terza linea, accanto alle due indicate da Trento; così, oltre alla “disciplina” e allo “studio”, verrà dato spazio ad una particolare formazione “spirituale” affidata a superiori esclusivamente incaricati a questo scopo, com’è tuttora. 

Impiego di forze generoso, si diceva, ma non sconsiderato: gli studenti di retorica e di filosofia avrebbero potuto benissimo frequentare le scuole pubbliche. I Gesuiti le avevano aperte in città, e per raggiungerle bastava percorrere un po’ di strada, al di là del Cosia. E così fu, per molti anni. Gli studenti del seminario vi si recavano tutti i giorni, in doppia fila, e alcuni chierici maggiori, incaricati come “direttori nelle strade“, provvedevano che si facesse sempre lo stesso percorso e che nessuno si allontanasse dagli altri, riferendo ogni mancanza ai superiori.

Viceversa, ad alcuni insegnamenti “specialistici” per la teologia provvedevano dei sacerdoti in cura d’anime e tuttavia esperti in qualche disciplina: così il priore di San Pietro Celestino (poi Basilica del Crocifisso) insegnava dogmatica ed era “prefetto degli studi”, ovvero preside, il cantore della Collegiata di San Fedele istruiva i seminaristi nel canto ecclesiastico, il cerimoniere del Vescovo preparava i chierici all’adempimento delle “sacre ceremonie“.

Il seminario appariva aperto all’esterno non solo per la necessità di dover ricorrere ad altre scuole, ma anche per il servizio che esso offriva, periodicamente, ai preti della diocesi i quali, dovendosi recare dal vescovo o dal vicario generale per affrontare gli esami necessari ad ottenere incarichi parrocchiali o facoltà di confessione, o altro, necessitavano non solo di un’ospitalità materiale – si pensi alla vastità della Diocesi – ma anche di una “ripetizione” della teologia o della morale o del diritto. Potevano trovare tutto ciò presso il seminario che diventava, in tal modo, una sorta di scuola permanente per il clero. Secondo l’avviso dato dal vescovo Neuroni, infatti, oltre ai chierici “si ammetteranno nel seminario anche nel progresso dell’anno, quelli, che si presenteranno, singolarmente quegli ecclesiastici della Diocesi che verranno alla Città, per essere esaminati alla Confessione, per li quali vi sarà nel Seminario la Conferenza“.

D’altra parte, anche la Diocesi si prendeva cura del Seminario. Innanzitutto attraverso una commissione di “Deputati e Promotori della buona educazione moral e letteraria de’ Seminaristi, e della regolar economia del Seminario“. Tale “deputazione”, prevista dal Concilio di Trento, era composta da due preti scelti dal vescovo, e da due deputati, nominati rispettivamente dal Capitolo della Cattedrale e dal Collegio dei parroci della città. La Commissione si radunava almeno due volte all’anno, con il vescovo, verificando l’andamento non solo economico del Seminario e stendendo regolari verbali – il “Libro delle Ordinazioni del Seminario di S. Caterina” – che costituiscono per noi la fonte preziosissima di tante notizie. 

Al di là dei preti direttamente impegnati nella conduzione, nella formazione o nella sorveglianza, era a tutta la comunità diocesana che il vescovo Neuroni chiedeva interessamento, anzi “amore”: “non lasciamo di persuadere a tutti l’amore, e la premura per questo Pio Luogo, istituito più d’ogni altro a pubblico vantaggio, ma altrettanto povero, e destituto de’ Redditi, quanto aggravato di spese, e ben meritevole, che tutti vi porgano la mano ajutrice“.

mons. Saverio Xeres