Con grande gioia abbiamo festeggiato lo scorso 19 marzo il patrono San Giuseppe. I primi Vespri e le Lodi Mattutine, preparati come sempre con grande cura, sono stati solennemente celebrati in cappella di teologia e sono stati presieduti dai padri spirituali don Giuseppe e don Alberto. La Santa Messa, presieduta dal rettore, è invece stata celebrata in chiesa grande alle ore 11.30 ed è stato un momento sentito e solenne di gioia e di fede in cui abbiamo ancora una volta invocato in modo speciale il dono della pace in Ucraina e nel mondo intero, ci siamo sentiti in comunione con la nostra Chiesa diocesana e con il Sinodo riunito in assemblea a Morbegno e abbiamo pregato, nel terzo sabato del mese, per le vocazioni al ministero ordinato e alla vita religiosa. Il clima di festa è continuato con un pranzo davvero “coi fiocchi” e appropriato all’occasione che ha contribuito a dare tono a questa giornata speciale. Dopo mangiato, come ogni sabato… tutti nelle parrocchie per le esperienze pastorali!
Riportiamo di seguito, l’omelia del Rettore, che ci ha fatto riflettere sul silenzio di San Giuseppe.
Con tutta la Chiesa abbiamo, lo scorso anno, meditato e riflettuto a lungo – e con frutto ne sono certo! – su San Giuseppe, arricchiti anche dalla Lettera Apostolica “Patris Corde”, molto bella. Penso che lo Sposo di Maria Santissima sia stato sicuramente onorato, ma penso anche che sia molto volentieri tornato nel suo amato nascondimento e nell’ombra appena ha potuto, dopo l’anno speciale a lui dedicato. Lo onoriamo solennemente oggi e vorrei, nella Festa del nostro grande Patrono, prendere in esame un aspetto molto bello e importante della sua figura che ci sta aiutando anche nel cammino quaresimale: il silenzio, di cui tanto – continuiamo a ripetercelo – abbiamo bisogno. Come però parlare del silenzio di san Giuseppe senza sciuparlo? Chiedo allo Spirito Santo aiuto ed equilibrio per non cadere in questo rischio.
Mi colpisce sempre quel versetto del Libro della Sapienza che si legge nella notte di Natale: «Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente è discesa dal cielo» (Sap. 18,14). Nel momento di più silenzio, Dio si è manifestato. Mi sembrano molto azzeccate a riguardo le parole di un grande predicatore francese del XVII secolo, Jacques Benigne Bossuet, nel suo primo “Panegirico di san Giuseppe”: «Tra tutte le vocazioni, nelle Scritture, ne noto due che sembrano diametralmente opposte: la prima quella degli apostoli, la seconda quella di Giuseppe. Gesù è rivelato agli apostoli per essere annunciato in tutto l’universo, è rivelato a Giuseppe per essere taciuto e nascosto. Il silenzio di Giuseppe è lo scrigno che nasconde e protegge il Verbo Incarnato e la Vergine Maria»
I Vangeli – lo sappiamo bene – non ci riportano nessuna parola del falegname di Nazaret, uomo giusto: niente, non ha mai parlato. Ciò non significa che egli fosse taciturno; no, c’è un motivo più profondo. Con questo suo silenzio, Giuseppe conferma quello che scrive sant’Agostino: «Nella misura in cui cresce in noi la Parola, il Verbo fatto uomo, diminuiscono le parole». Nella misura che Gesù – la vita divina – cresce, le parole diminuiscono. Lo stesso Giovanni Battista, che è «la voce che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore”» (Mt 3,1), dice nei confronti del Verbo: «Egli deve crescere e io devo diminuire» (Gv 3,30). Questo vuol dire che Lui deve parlare e io stare zitto. Giuseppe, con il suo silenzio, ci invita a lasciare spazio alla presenza della Parola fatta carne, a Gesù.
Come sarebbe bello se ognuno di noi, sull’esempio di san Giuseppe, riuscisse a recuperare questa dimensione contemplativa della vita che nasce dal silenzio. Ma tutti noi sappiamo per esperienza che non è facile: il silenzio un po’ ci spaventa, perché ci chiede di entrare dentro noi stessi e di incontrare la parte più vera di noi. Tanta gente ha paura del silenzio, deve parlare, parlare, parlare o “sentire” radio, televisione, computer… ma il silenzio che fatica ad accettarlo! Pascal osservava che «tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare in silenzio e tranquilli in una camera».
Mi sembra bello oggi, che abbiamo pregato anche per le vocazioni, affidare a San Giuseppe la vostra vita, cari seminaristi e il vostro personale cammino di formazione: la vostra vocazione, la vostra “docibilitas” al Signore e alla sua volontà di amore e gioia per tutti voi.
L’altro giorno il vescovo ha detto chiaramente: «Premessa indispensabile: ciascuno è responsabile della propria formazione. Occorre essere esigenti con sé stessi». E poi la “Ratio fundamentalis – Il dono della vocazione sacerdotale”. (nn 130-131) che spesso vi ho ripetuto anch’io: «Ogni seminarista è il protagonista della propria formazione ed è tenuto ad un cammino di costante crescita nell’ambito umano, spirituale, intellettuale e pastorale, tenendo conto della propria storia personale e famigliare. I seminaristi sono altresì responsabili della creazione e del mantenimento di un clima formativo, che sia coerente con i valori evangelici. I seminaristi, come singoli e come gruppo, mostrino – non soltanto nel comportamento esteriore – di avere interiorizzato uno stile di vita autenticamente sacerdotale, nell’umiltà e nel servizio ai fratelli, segno della scelta maturata di porsi alla speciale sequela di Cristo».
Chiedo questa grazia per voi a san Giuseppe uomo silenzioso e tutti insieme impariamo a coltivare spazi di silenzio, in cui possa emergere la Parola (con la P maiuscola): quella dello Spirito Santo che abita in noi e che porta Gesù. Non è facile riconoscere questa Voce, che molto spesso è confusa insieme alle mille altre voci: preoccupazioni, tentazioni, desideri, aspettative che ci abitano. Senza questo allenamento che viene proprio dalla pratica del silenzio, può ammalarsi anche il nostro parlare. Senza il silenzio si ammala il nostro parlare che, invece di far splendere la verità, può diventare un’arma pericolosa. Infatti, le nostre parole possono diventare adulazione, vanagloria, bugia, maldicenza, cattiveria, banalità, pressapochismo, pregiudizio, chiacchere…
Sappiamo bene che, come ci ricorda il Libro del Siracide, «uccide più la lingua che la spada» (28,18). Gesù lo ha detto chiaramente: chi parla male del fratello e della sorella, chi calunnia il prossimo, è omicida (cfr. Mt 5,21-22). Uccide con la lingua. E l’apostolo Giacomo, nella sua Lettera ci dice con forza: «Se uno non sbaglia nel parlare, è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. Anche la lingua è un piccolo membro, eppure si vanta di grandi cose. Con essa benediciamo il Signore e Padre, e con essa malediciamo gli uomini, che sono fatti a somiglianza di Dio. Dalla medesima bocca escono benedizioni e maledizioni» (3,2-10).
Impariamo da Giuseppe a coltivare il silenzio: quello spazio di interiorità nelle nostre giornate in cui diamo la possibilità allo Spirito di rigenerarci, di consolarci, di correggerci. Ognuno guardi se stesso: tante volte stiamo facendo un lavoro e quando finiamo subito cerchiamo il telefonino per fare un’altra cosa, sempre stiamo così agitati e preoccupati e ci sembra di non avere mai tempo. E questo non aiuta, questo ci fa scivolare nella superficialità. La profondità del cuore cresce invece con il silenzio, che lascia spazio alla saggezza, alla riflessione e allo Spirito Santo. Non dobbiamo avere paura del silenzio. Ci farà tanto bene il silenzio! E il beneficio del cuore che ne avremo guarirà anche la nostra lingua, le nostre parole e soprattutto le nostre scelte. Infatti, Giuseppe ha unito al silenzio l’azione. Egli non ha parlato ma ha fatto, e ci ha mostrato così quello che un giorno Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chi dice Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21).
Il silenzio di Giuseppe allora non è passivo mutismo; è un silenzio pieno di ascolto, un silenzio adorante, un silenzio amante, un silenzio operante che fa emergere la sua grande interiorità. In verità però il vangelo menziona una parola di Giuseppe, una sola: “Gesù”. “Tu lo chiamerai Gesù” gli dice l’angelo. E il giorno della circoncisione, con Maria, darà questo nome al Figlio di Dio. Un particolare: Dio tramite l’angelo chiede sia alla madre che a Giuseppe di dare il nome al bambino. Insieme dicono questo nome. Questo permette a Giuseppe anche in questa occasione di restare in silenzio e, mentre chiama Gesù il bambino, non rompe il silenzio perché rimane in ascolto di questo santissimo nome pronunciato nello stesso momento da Maria. Il silenzio non è rotto, anzi è riempito. Commenta mirabilmente San Giovanni della Croce:«Una parola pronunciò il Padre, e fu suo Figlio ed essa parla sempre in eterno silenzio, e nel silenzio deve essere ascoltata dall’anima. In piena sintonia con Maria, Giuseppe pronunciò una sola parola che fu quella del suo Figlio e sempre la ripete in un eterno silenzio. Giuseppe è l’immagine perfetta del Padre. Gesù è il suo silenzio». Con Maria e Giuseppe che il nostro silenzio dica incessantemente Gesù!
Concludo con alcune frasi di una bella riflessione – che può sembrare quasi ingenua – del beato Charles De Foucauld scritta a Nazaret in una notte di preghiera davanti al presepe: «E tu, san Giuseppe, come ti mostri un vero padre per Gesù, come Lo guardi, come lo adori in estasiato silenzio! E allo stesso tempo come lo curi e lo accarezzi! […] tu senti che questo Bambino divino non deve essere più sprovvisto di carezze, di tenerezze di quanto lo sono gli altri bambini … deve piuttosto riceverne mille volte di più di qualsiasi altro… Così tu e Maria lo colmate di tenerezza. O santi genitori… La vostra notte e ormai tutta la vostra vita sono divise in due occupazioni, l’adorazione immobile e silenziosa, e le carezze, le cure sollecite e devote e tenerissime… Fate che la mia vita si conformi alla vostra, o genitori benedetti, che trascorra come la vostra a adorare Gesù o ad agire per Lui, sempre sprofondati nel suo amore… in Lui, con Lui e per Lui». Così sia!
don Alessandro Alberti