Resoconto della (e riflessioni sulla) visita al nostro Seminario di padre Mario Ghezzi
“Non entrare nemmeno nel villaggio”. Con queste parole Gesù rimanda a casa il cieco di Betsaida dopo averlo guarito. Con queste parole si conclude il Vangelo di mercoledì 16 febbraio (Mc 8,22-26). Con queste parole padre Mario Ghezzi, visitatore missionario del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) ha aperto la sua omelia durante la nostra messa comunitaria e ha provato a raccontarci il senso della missione, che non è semplicemente sbandierare miracoli o proclamare una verità. Missione infatti è stare nelle situazioni, è essere accanto alle persone tenendosi abbracciati a Cristo e vivendo la sua compagnia. Solo così la nostra vita può diventare annuncio del Vangelo. Solo se siamo radicati in Cristo possiamo annunciare la verità del suo Vangelo, che non ha bisogno di proclami, ma si impone nel silenzio.
La celebrazione della Santa Messa è stato il momento culminante della visita missionaria di padre Mario, che è stata breve, ma significativa. Giunto per il pranzo di mercoledì, il primo appuntamento è stato l’incontro con il G.A.Mis., il gruppo di animazione missionaria del seminario, composto dal rettore e da alcuni seminaristi. Riunione fraterna, in cui c’è stata l’occasione di presentarsi, di confrontarsi sulle attività che si svolgono e soprattutto di riflettere sul significato della missione qui in Italia: come evangelizzare, come annunciare il Vangelo nella nostra terra?
In seguito, il tempo dalle 16.30 alle 18.30 è stato riservato agli incontri personali con i seminaristi. Poi, alle 18.45, la celebrazione della Messa, in cui abbiamo pregato per l’evangelizzazione dei popoli e, dopo cena, il rosario, meditando i misteri gloriosi.
Infine, alle 21, l’incontro con tutta la comunità del seminario, durante il quale il visitatore missionario si è potuto raccontare. Ordinato nel 1999, dopo un breve periodo negli Stati Uniti per imparare l’inglese, padre Mario ha trascorso 17 anni in Cambogia, dal 2000 al 2017. Successivamente, è stato nominato direttore del Centro missionario del PIME a Milano, incarico che ricopre tuttora.
Appena rientrato in Italia, si è accorto del mutamento della situazione italiana: anche le nostre parrocchie sono diventate terra di missione. Il primo pensiero è dunque stato questo: di cosa ha bisogno la nostra Chiesa ora? Cosa vuol dire missione oggi in Italia? Domande a cui è impossibile rispondere, ma che ha provato ad affrontare sulla base della sua esperienza e che ha condiviso con noi. Appena arrivato in Cambogia, padre Mario ha dovuto imparare le lingua (che conta di ben 33 consonanti e 24 vocali!) e la cultura locale, influenzata in larga parte dal Buddhismo e centrata più sull’individuo che sulla comunità, in cui alcuni concetti cristiani fondamentali (es. la risurrezione, che in cambogiano si rende come “riprendere indietro la vita”) sono difficilmente comunicabili. Situazione che, mutatis mutandis, non è lontana da quella che viviamo qui tutti i giorni: il linguaggio della nostra società non è più quello cristiano, e nemmeno la cultura sembra più capire i concetti cristiani (l’individualismo è imperante, la risurrezione non sembra più essere una possibilità concreta per la maggior parte delle persone, forse anche per chi frequenta le nostre chiese…).
Dopo aver imparato lingua e cultura, padre Mario ha servito per 14 anni in due zone pastorali, con la missione di costruire la comunità da zero. Ecco allora altre domande: come fare? Quali sono i pilastri su cui si fonda una comunità cristiana? I punti fissi sono pochi, ed essenziali: Eucaristia, preghiera, carità, partenza dalla realtà (linguaggio e cultura) e dall’ascolto-incontro con essa, senza far ricorso a piani e progetti, utilizzando il criterio di provare a rispondere ai bisogni e alle domande delle persone. In Cambogia, questo si è tradotto nell’attenzione verso i bambini, gli studenti, i poveri ed i malati. E diverse persone hanno accolto il Vangelo vedendo la coesione della comunità, la liturgia, la carità fraterna. Tanto da far dire a un giovane ventunenne, malato terminale di cancro e che proprio nella sofferenza ha incontrato Cristo: «Non immaginavo potesse esistere un amore così grande. Non voglio dire che sto per morire, ma che sto per incontrare Gesù».
E in Italia? Quanto oggi la Chiesa intercetta i problemi della realtà? Su cosa si basano le nostre comunità? Quanto riescono a comunicare l’amore di Dio?
Verso le 22.15 l’incontro è terminato: il visitatore è dovuto rientrare a Milano, giovedì mattina gli impegni da direttore del Centro missionario lo avrebbero aspettato. Come sempre, anche questa visita ha lasciato più interrogativi aperti che risposte. Ma soprattutto ha regalato tanta speranza. Nei suoi ultimi tre anni in Cambogia, padre Mario è stato mandato in un sobborgo di Phnom Penh, la capitale, a fondare una comunità dal nulla: non c’era neanche un battezzato, nessuno aveva richiesto la presenza di un prete. Dopo tre anni di missione, i battezzati erano quattro. Pochi, ma sufficienti per far attecchire il Vangelo. Le sfide che ci aspettano sono molte: come saranno le comunità dove andremo? Saremo aspettati? Chi lo sa…sicuramente, se ci saranno anche solo quattro cristiani, saranno abbastanza. D’ altronde Qualcuno ci ha detto: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
Paolo Piasini