Il Visitatore Missionario

La scorsa settimana la comunità del Seminario ha accolto per una paio di giorni il cosiddetto “visitatore missionario”. Questa figura era stata istituita molto tempo fa al fine di sensibilizzare i seminaristi sul tema missionario e, conseguentemente, verificare se in loro ci fosse una possibile vocazione alla missione. Oggi, in una così diversa situazione sociale ed ecclesiale, ci si può chiedere se serva ancora una figura del genere: se ci sono così pochi seminaristi che senso ha proporre loro itinerari missionari? E non sono ormai anche le nostre terre considerabili come terre di missione?

Certamente queste considerazioni sono veritiere, tuttavia, proprio perché siamo cattolici, abbiamo in noi uno slancio missionario che apre ad un orizzonte più ampio del nostro ambiente. Ogni comunità, da quella parrocchiale a quella diocesana, ha bisogno di questa apertura, e il Seminario non fa eccezioni. Pena l’asfissia, la mancanza di ossigeno, la chiusura su noi stessi e sui nostri più o meno piccoli problemi. Con il rischio, sempre presente, di ingigantire ciò che è piccolo, di vedere problemi là dove non ce ne sono davvero, o di non rilevare le urgenze più radicali. D’altra parte è proprio ciò che opera lo Spirito con gli apostoli, e che stiamo celebrando in questi giorni: li manda in tutto il mondo ad annunciare, li smuove, li fa partire.

L’apertura missionaria non è una serie di cose da fare che bisogna spuntare, ma è una necessità. E, spesso, è a noi che la missione fa bene: perché il confronto, anche con il non credente, o, ancora di più, con chi non utilizza le mie stesse categorie per leggere la realtà del mondo e di Dio, impone una maturazione, un mettermi davvero allo scoperto, un’uscita dalla pigrizia, una crescita umana ma anche “teologica”: a ri-donare il dono ricevuto nella fede, esso torna ad essere vivo, anche per chi lo annuncia. San Paolo dice “guai se non annunciassi il Vangelo!” (1Cor 9,16): guai anche a noi se non annunciassimo il Vangelo, perché anche la nostra stessa fede rischierebbe di atrofizzarsi, per divenire sterile e senza vita attaccata addosso…

Allora potremmo dire “Beati noi”, che in alcune occasioni durante l’anno abbiamo l’occasione di aprirci alla testimonianza di qualche prete missionario. Quest’anno è stato tra noi don Marco Testa, prete ex fidei donum, della Diocesi di Saluzzo: con lui abbiamo parlato di un pò di tutto: dal fenomeno della diffusione del pentecostalismo nelle regioni del Sud del mondo alla situazione difficile dei cristiani in Palestina, fino alla possibilità di fare un anno di pastorale al di fuori della nostra diocesi, in zone diverse dell’Italia o addirittura in missione: l’idea alla base è che anche queste realtà, benché ancora molto giovani ed immature, abbiano qualcosa di prezioso da insegnarci e trasmetterci (e lo stesso noi nei loro confronti).

GAMIS (Gruppo MIssionario Seminaristi)