Domanda di ammissione agli ordini – Una domanda per la vita in una vita in domanda

In vista del rito di ammissione al diaconato ed al presbiterato, i candidati redigono (di proprio pugno!) una domanda indirizzata al Vescovo. Mentre mi accingevo a preparare la mia, continuava a tornarmi in mente la definizione che il filosofo Marino Gentile dà della filosofia: «un domandare tutto che è tutto domandare». In un primo momento sembrava solo una simpatica associazione d’idee, ma fermandomi un’attimo a pensare non solo ho potuto constatare di non essere in preda ad un delirio, ma anche ho capito che in questa formula è riassunto l’atteggiamento proprio che l’ammissione agl’Ordini richiede. Proviamo ad analizzare quest’espressione. Innanzitutto, domandare tutto: la domanda è una domanda per la vita. Ciò che si chiede è tutto quello che si mostra come vero senso della propria vita. Ma è anche domandare tutto in quanto tutto è dono, perché nulla è dovuto, e noi non siamo degni di accampare alcun merito. Allo stesso modo è la Chiesa a domandare tutto: assumere l’impegno d’incamminarsi verso la configurazione a Cristo richiede, pur nella finitezza umana, una dedizione totale. Dunque questo primo eccomi, così asciutto eppure pieno del percorso fin qui già fatto, vuole essere il primo di altri eccomi in questa direzione: come mi ha scritto in una cara lettera un prete: «… di eccomi in eccomi fino all’eccomi definitivo per l’inserimento sacramentale nel Signore Gesù». Però non ci si può fermare qui: se infatti non andassimo oltre al domandare tutto, la patina di staticità e definitività che ne risulta finirebbe per soffocarci. Dunque di questo domandare tutto è necessario specificare la fisionomia. Per fare ciò, dobbiamo rivolgerci all’altra metà della nostra formula: il domandare tutto è tutto domandare. Ciò significa che, perché il domandare tutto sia autentico, è necessario che esso non abbia risposte già pronte o ingabbiate dalla domanda, ma che sia in ricerca, continua ed onesta, della verità. In questo senso, lammissione agli Ordini deve configurarsi come un cammino. Esso ha certamente una direzione (altrimenti sarebbe un vagare), ma implica il movimento, dunque il mutamento. Altrimenti otteniamo ciò che gli scolastici chiamano contradictio in adiecto, ovvero una contraddizione in termini: un cammino immobile. Possiamo vedere dunque chiaramente che solo tenendo assieme questi due poli è possibile mettersi alla sequela del Signore: una domanda per la vita è vera soltanto in una vita in domanda. In nessun altro modo posso e possiamo sentirci uno strumento, pur piccolo ed inutile, nella mano di Dio.

Francesco Ronchi – II Teologia