…Già sono ferme le nostre mani alle tue porte, Gerusalemme!

Tornati dal pellegrinaggio in Terra Santa, non ci pare opportuno fare, di esso, un resoconto cronachistico. La narrazione di un tale viaggio sarebbe infatti ben poca cosa se fosse la giustapposizione dei fatti e dei luoghi visitati. 
È appunto il racconto di un pellegrinaggio: volendo rendervi, cari lettori, pellegrini con noi, vorremmo farvi toccare con mano quei luoghi. La mano, ecco! Sì. Lasciamoci guidare da quest’immagine. 

FOTO PELLEGRINAGGIO

1. A mani giunte

Ci siamo rimessi nelle mani di qualcun altro: non è stata una nostra idea prendere e partire, ma qualcun altro ci ha detto ciò che avremmo dovuto fare. Partire quando non lo decidi tu, e non sempre è semplice. A volte dietro al “chinarsi” alla volontà di altri si cela il Signore che ti chiama a uscire dal tuo piccolo recinto di vita. Chinarsi abbiamo detto: ma cosa c’entra con le mani? Ad Ain Karem un gruppo proveniente dall’estremo oriente – entrato in chiesa della Visitazione mentre si concludeva la celebrazione dell’Eucaristia e la processione si snodava verso l’uscita – ha salutato Sua Eminenza il Vescovo Oscar con un profondo inchino a mani giunte in corrispondenza del petto, gesto di educazione ed umiltà, che esprime rispetto e riconoscenza. L’inchino e le mani… Continuiamo su questa linea: inchinarsi significa anche chinarsi, cioè “rimboccarsi” le maniche, e mettere a disposizione del nostro prossimo le proprie mani affinché questa esperienza risultasse meno gravosa per tutti: a partire dalla raccolta fondi, fino allo stile da mantenere nello stare insieme nella terra di Gesù. Giunti in Terra Santa sono stati tanti gli inchini che abbiamo dovuto compiere. Inchinarsi ai ritmi di viaggio piuttosto intensi (le ore di sonno, per chi ha già fatto questo tipo di esperienza, sa che sono piuttosto scarse). Inchinarsi alle persone che ho di fronte con gratitudine e rispetto. Penso a noi tutti: dovremmo ringraziarci più spesso di esserci, non dimenticando di essere dono uno per l’altro. Noi seminaristi e preti giovani non possiamo dimenticare di essere una sfaccettatura dell’immenso dono di Amore che Dio ha donato al mondo. Abbiamo avuto fortuna a tornare domenica: se solo avessimo avuto il volo lunedì, non ci avrebbero permesso di decollare per la situazione politica; ci siamo inchinati a questa realtà conflittuale a livello di relazioni inter-religiose e sociali. Ecco che allora ci inchiniamo con rispetto e ammirazione a chi ha il coraggio di prendere una scelta di fede in terra di persecuzione. Sì, perché incontrare i seminaristi del Patriarcato di Gerusalemme ci ha fatto alzare il cappello e chinare il nostro capo facendoci esclamare chapeau a loro che per seguire il Cristo devono allontanarsi parecchio dalla propria casa con il rischio che le frontiere respingano o rifiutino l’accesso ad alcune zone dello stato senza interessarsi delle ragioni dello spostamento. Ci inchiniamo a questi nostri fratelli cristiani che rischiano la vita nel pregare il Signore Gesù e nel manifestare a tutti la propria fede, e tendiamo loro una mano: per quel poco che possiamo offrire, il venerdì santo nelle nostre chiese si raccolgono sempre le offerte per la Chiesa di questa terra. Ancora: inchinarsi a chi guida il Patriarcato di Gerusalemme: ammirevole l’impegno, la dedizione e l’umiltà con cui il Patriarca Pierbattista Pizzaballa serve la propria Chiesa! Ci siamo inchinati tante volte nei luoghi santi per toccare con mano: per purificarci con l’acqua del Giordano, per toccare le pietre al Santo Sepolcro, alla Visitazione, al Getzemani; ci siamo prostrati a pregare sulle pietre dove il Signore ha compiuto prodigi. E ci siamo alzati rinvigoriti e consolati con la consapevolezza che quelle pietre sono vive e che quell’acqua col quale siamo stati purificati è ancora oggi presente nella Chiesa.

(M.C.)

2. La mano nel buco

“La madre: Dio nel tabernacolo l’abbiamo anche noi qui. / Anna Vercors: Ma non quella gran buca nella terra. / La madre: Quale buca? / Anna Vercors: Quella che fece la Croce quando fu innalzata. Tutto vi converge. Là è il punto che non può essere spostato, il nodo che non può essere sciolto, il patrimonio comune, la pietra miliare che non può essere strappata, il centro e l’ombelico della terra, il cuore dell’umanità nel quale tutto si regge.”

Questo meraviglioso dialogo è tratto da L’annuncio a Maria di Paul Claudel. Siamo in Francia, nel basso Medioevo. Anna Vercors è il padre di una famiglia a cui non manca nulla, ma che decide di partire per un pellegrinaggio, per IL pellegrinaggio, verso la Terra Santa: a quel tempo voleva dire quasi morte certa per la fatica del viaggio, per le malattie, per gli scontri violenti con ladri e briganti. La madre è la moglie di Anna, la madre di famiglia, che tenta di riportare il marito a più miti consigli: Dio l’abbiamo anche qui! Non è forse vero? Certo, e questo è essenziale. Ma non abbiamo il buco che fece la Croce quando fu conficcata nella terra. Anna Vercors vuole mettere la mano in quel buco, toccare la pietra, la terra. Vuole tornare al punto d’origine della salvezza, alle fondamenta del nuovo ponte tra terra e cielo. Quanti pellegrini passano e passarono di lì e misero e mettono la loro mano in quel buco! Tra il viavai di persone i pellegrini: qualche Giovanni, qualche Maddalena, qualche Maria; ma anche tanti turisti che si accontentano di scattare una foto, come quegli incuriositi che vennero a vedere la condanna di Gesù e dei due con lui. C’è chi passa e chi invece sta: chi vuole soltanto vedere e chi invece vuole guardare e toccare il luogo in cui la terra fu infilzata dalla salvezza. Non è facile descrivere cosa sia porre la mano in quel buco. Un foro buio nel terreno può infatti evocare un’assenza, una distanza: dov’è il fondo? Dov’è il punto di contatto? Dove Cristo ci ha salvati? In qualche misteriosa profondità? In una trascendenza intangibile? Contro ogni spiritualismo disincarnato, mettiamo la mano in quel buco. Sotto c’è la terra, la nostra terra. La stessa che calpestiamo ogni giorno: creata buona da Dio, è stata percorsa dal peccato di Eva e di Adamo. Tuttavia Dio non l’ha disprezzata: Tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato (Sap 11, 24a). Anzi, per amore della creatura fatta a sua immagine e somiglianza, ha compiuto il suo disegno di salvezza donandoci e mandando a morire quell’unico Figlio: Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5, 7-8). Dentro il buco della croce qualche fedele lascia delle corone del rosario, altri dei biglietti con qualche preghiera: gesti semplici che nascondono una grande profondità: cosa portiamo nel buco della croce?

La croce fu conficcata in terra come simbolo di morte. Ma ecco: dopo tre giorni, Cristo risorge. L’albero della morte diventa albero della vita: da esso rinasce un germoglio. Le radici nella terra; le fronde, che abbracciano l’umanità, stagliate verso l’alto. Ecco allora cosa portiamo: un seme, una preghiera, chiedendo che germogli come quell’albero, che giunga di lì al cielo: nel buio di quel buco muore il chicco di grano; se non morisse rimarrebbe solo, ma se invece muore, produce molto frutto (cfr. Gv 12, 24). 

(F.R.)

Ritornati dal pellegrinaggio, desideriamo essere sempre più mani di Colui che fu innalzato sulla croce, agendo per Lui e per la sua Chiesa. Come quel gruppo di fedeli orientali, infine, nella dimensione umana dell’Eucarestia (che significa “rendimento di grazie”) in cui Cristo ha trasformato la croce e la sofferenza rendendole benedizione, anche noi ringraziamo di cuore il nostro vescovo Oscar, che ha saputo guidarci con tenerezza e franchezza, e al contempo si è mostrato nel suo lato più affabile ed amichevole: un padre che dimostra di amare i suoi figli può solo che ricevere un profondo inchino di estrema gratitudine da parte di tutti noi. Così anche esprimiamo un ringraziamento sincero a tutti coloro che ci hanno aiutati, accompagnati e sostenuti in questo pellegrinaggio con la preghiera. 

M.C., IV teologia
Francesco Ronchi, I teologia