Pane di vita nella terra dei Khan
Ogni tre anni, nel bel mezzo della canicola estiva e forse proprio perché ”tanto d’estate vanno a Messa in pochi” – così provava a giustificare (non certo con Magistero Autentico!) la struttura del Lezionario per l’anno B un simpatico francescano incontrato una volta a Verona – la Mensa della Parola viene imbandita, di Domenica in Domenica, con brani tratti dal capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, nel quale Gesù si presenta come Pane di Vita.
Che strana cosa, e che grandezza inaspettata, il trovarsi a meditare questa Parola – ed essere chiamati a viverla – proprio negli stessi giorni in cui si è provato lo pane altrui agli antipodi del mondo.
Quanto è buono il pane di Como, che ogni mattina il prestinaio prepara con cura! Quanto profuma di quotidiano e di domestico; o quanto è gustosa una buona bisciola, “pane della festa” che tanto spesso accompagna le nostre tavole diocesane. E quanto, invece, sono diversi i sapori che si incontrano sulle tavole straniere, alle quali ci siamo seduti in un luogo o nell’altro della steppa mongola: il riso e i cibi speziati, che sanno di casa per i missionari africani; insalate e zuppe con alghe, così familiari per i salesiani del Sudest asiatico, finiti appena al di sotto della Siberia, con don Bosco nel cuore; quanto lontani dai nostri gusti il Süütei tsai (ma chiamiamolo “tè al latte salato”) e i buuz (ravioli di carne al vapore), segni dell’ospitalità mongola, veri simboli di condivisione e accoglienza.
Eppure, tutto questo pane…e companatico… è come quello di cui viene detto: “I vostri padri hanno mangiato […] e sono morti” (cfr. Gv 6, 49).
Eccoci qui, invece, nella terra dei Khan a cercare – con semplicità, come siamo capaci – Colui che così si è presentato: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.” (Gv 6, 51). Eccoci qui, lontano dal pane di casa, a scoprire che il Signore davvero è fedele, a darsi: per la vita del mondo!
Ebbene sì, lo abbiamo visto e incontrato: quel Pane e quella Parola sono giunti anche nella remota Terra dei 187 colori e degli ampi spazi di libertà. Quella Presenza reale del Verbo fatto carne ha anche qui posto la sua tenda (cfr. Gv 1, 14): in mezzo alle tende dei nomadi – le tradizionali gher bianche e rotonde -, nei palazzoni anonimi di Ulan Batar, nelle missioni di Darkhan e di Arvajhėėr. La Buona Notizia ha viaggiato lungo le dune del Gobi, silenziose e solenni; ha attraversato – moderna viandante, in jeep – le sterminate pianure e le morbide colline ora verdi, ora ocra, ora brulle, ora rigogliose di larici e betulle bianche, facendosi strada tra un gregge di pecore senza pastore e l’altro. Nel vasto cielo azzurro mongolo le nubi missionarie hanno fatto piovere il Giusto su territori millenari e densi di storia seminando germi di bene che, lentamente, spuntano e crescono con tenacia tra le stelle alpine e nei cuori dei mongoli.
Ebbene sì, lo abbiamo sentito: quel sussurro, quel mormorio di un vento leggero (cfr. 1Re 19,12) che ha vibrato nelle corde del cuore mostrandosi in azione attraverso l’opera, la fatica, la speranza della gente di missione. E si è rivelato nel suo bisbiglìo come Spirito tenace e gagliardo, come fiamma di gioia che ha acceso i cuori di una Chiesa fresca, semplice e viva: nella sua preghiera, nell’annuncio con ogni mezzo, nella prossimità umile e discreta verso chi più necessita del pane. Quello stesso Pane che con noi tre, “pellegrini” occidentali – e forse, a volte, ospiti invadenti – è stato diviso e condiviso – tra tavole imbandite e mense eucaristiche – come Pane del Cammino di quell’unica Chiesa “tribolata Pellegrina” del mondo, nella quale ritrovarsi fratelli in missione.
Giovanni e Carlo