“Tenendo fisso lo sguardo su Gesù”

Che cosa cercate? (Gv 1, 35-42).Con questa domanda sono iniziati, presso l’eremo S. Salvatore di Erba, gli esercizi spirituali in preparazione all’ordinazione diaconale di Alex, Francesco, Luca e Pietro. È la prima domanda che Gesù rivolge ai discepoli. Il Maestro accoglie ponendosi in ascolto, non vuole né imporsi né indottrinare. Si tratterà di scrivere, con Lui, le pagine della loro storia. Un interrogativo quotidiano che aiuta a non smarrire la strada e soprattutto a non cedere all’abitudine e alla frenesia che spesso allontanano dalla vita spirituale. 

Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, quello del vangelo, uomo della vita buona, bella, e beata, abbiamo ripercorso insieme il rito di ordinazione dei diaconi, partendo proprio da quell’eccomi che cambia la vita e la cambia per sempre. Una risposta che interpella la libertà, che chiede anche di fare memoria degli eccomi “sbagliati” che ci hanno portato lontano da noi stessi, da Dio e dagli altri. Un eccomi convinto e radicato nella certezza che senza Gesù non possiamo fare nulla. 

Profonda e incisiva anche la domanda che il vescovo pone durante il rito: “Sei certo che ne siano degni?”. Zaccheo (Lc 19,1-10) salito sul sicomoro per leggere sé stesso, ci ha aiutato a leggerci “dall’alto”, lui che ha cercato di vedere Gesù e ha scoperto che Gesù cercava di vedere lui. Degni, non perfetti, cioè disponibili a lasciarci guardare da Gesù, a lasciarlo entrare continuamente in quella casa che è la nostra storia, capaci di conversione continua.  

Il rito poi offre queste parole: “con umiltà e amore, con coscienza pura”. Un altro personaggio del vangelo, Natanaele (Gv 1,45-51), colui che disse che da Nazareth non sarebbe potuto venire nulla di buono, indicato da Gesù come uomo limpido, non falso, ci ha aiutato ad entrare nei meandri della coscienza, con le sue ricchezze, le sue ferite, e i suoi pregiudizi e ci ha ricordato la grande lezione che sta nel togliere, nella misura in cui ci apriamo a Dio, i nostri pregiudizi, così da poter vivere un ministero con umiltà e amore. 

Da questo nasce la scelta del celibato per il regno dei cieli, non come rinuncia, ma come appartenenza del cuore a Dio, come amore che va oltre, capace di donarsi a tutti, vivendo legami in pienezza, liberi da dinamiche di possesso. Un amore non certo risparmiato, ma moltiplicato. 

Un’altra domanda, concreta e umana è sorta in noi dopo aver meditato sulle prime promesse: come è possibile tener fede a questi impegni? La vedova importuna del vangelo, quale maestra, ci ha indicato la strada (Lc 18, 1 – 8), richiamandoci all’insistenza della preghiera, non come obbligo ma come desiderio di vita, di ascolto, di giustizia. «Io prego perché vivo e vivo perché prego» diceva Romano Guardini e Yves Congar aggiungeva: “Con la preghiera riceviamo l’ossigeno per respirare”.

Nella preghiera, ossia nella relazione filiale con il Padre, come quella di Gesù, ricca di rispetto, si radica l’obbedienza, che è la misura della nostra fede, bene sintetizzata dal n° 15 di Presbyterorum ordinis: “è la disposizione d’animo per cui (i presbiteri) sempre sono pronti a cercare non la propria volontà, ma il compimento della volontà di colui che li ha inviati”. Solo chi sa obbedire in Cristo, nella Sua Chiesa, sa come richiedere, secondo il vangelo, anche nelle nostre comunità, l’obbedienza agli altri. Infine, l’invito a donare: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 9,36-10,8), ben concretizzato nel mandato missionario di Gesù attraverso sei azioni (Mt 10, 7-8): predicate, guarite, risuscitate, purificate, liberate e donate. Gesti concreti che la relazione con Lui chiede vengano vissuti. 

Preghiera e vita cuciono l’abito nuziale (Mt 22, 1-14), quello che Dio chiede di indossare al suo banchetto. Non basta accettare l’invito, è necessario l’abito nuziale, quello del servizio per amore. Un abito che ha ricamato sul bordo, in alto, queste parole: “Tenendo fisso lo sguardo su Gesù”! Questa sarà sempre la sorgente e la misura del nostro ministero. 

don Roberto Secchi